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I migliori chitarristi blues che tutti dovrebbero conoscere

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Dopo più di 30 anni a suonare il blues, la convinzione di avere in mano il sacro graal della conoscenza e di poter dire di essere la persona giusta per indicare chi sono i migliori chitarristi di questo genere ti viene meno. Col tempo si impara di non sapere. Che è anche il motivo per cui non mi sono mai buttato nella scrittura di un saggio su questa musica come fanno in molti. Mi limito a essere un piccolo chitarrista blues italiano, curioso
Quindi l’elenco qui sotto vuole essere solo da stimolo per altre persone curiose come me che magari hanno appena cominciato a esplorare questo mondo e cercano qualche idea per averne una visione più completa.
Questo non vuol dire che l’elenco qui sotto sia completo, sono nomi in ordine sparso senza che si tratti di una patetica classifica tipo quelle che fanno le riviste di settore e nelle quali finisce sempre Taylor Swift.

P.S. per favore evitiamo commenti tipo “ma non c’è Clapton!!!!!”, perchè se non c’è è perchè questa non è la lista di Guitar&C piena di cavolate ok? C’è per esempio Otis Rush (che effettivamente era un chitarrista prettamente blues mentre Clapton no), vi sembra poco?

Albert King

Albert King, pseudonimo di Albert Nelson (Indianola, 25 aprile 1923 – Memphis, 21 dicembre 1992).

È probabilmente il più influente chitarrista di modern blues, il suo stile ha influenzato miriadi di guitar heroes, definendo il ruolo della chitarra nelle moderne sonorità del blues elettrico.
Mancino, utilizzava una chitarra Gibson Flyng V da destro girata al contrario.
Tra i suoi dischi il famosissimo “Born Under Bes Sign” registrato per Stax Record nel 1967.”
Ascoltare i dischi degli anni 70′ di Albert King mette in luce come tutte le sonorità attualmente in voga nel modern blues di Chicago contemporanee debbano rendere omaggio al gigantesco chitarrista di Indianola.
Noto per il pessimo carattere apparve anche sul palco del Pistoia blues duettando con il grandissimo chitarrista italiano Nick Becattini da poco scomparso.

BB King

B. B. King, all’anagrafe Riley B. King (Itta Bena, 16 settembre 1925 – Las Vegas, 14 maggio 2015).

Quando si parla di Re del blues il primo nome che viene in mente è il suo:BB King.
Spettacolare chitarrista cantante dall’imitatissimo stile melodico, che fondeva in uno stile unico il linguaggio di T-Bone Walker, Charlie Christian e del blues rurale.
BB ha sempre rinnegato la dimensione campagnola della sua musica proiettandola in un’orizzonte professionale lontanissimo da ogni approssimazione downhome. Grande imprenditore di se stesso è riuscito a far incrociare il suo destino con quello di pop star di grido, (Clapton, U2) garantendosi il favore di masse oceaniche.
Benchè il suo più grande successo fosse la celeberrima Trill is gone, probabilmente il suo disco più amato è lo strepitoso “Live at Regal” del 1965.
L’attenzione alle problematiche del suo popolo afroamericano lo portarono a registrare nei penitenziari USA il live “Live in Cook County Jail”.

Albert Collins

Albert Collins (Leona, 1º ottobre 1932 – Las Vegas, 24 novembre 1993).

The Master of Telecaster, così veniva chiamato l’energico Albert Collins, probabilmente uno dei chitarristi più originali della scena texana. Nessuno come lui seppe creare una perfetta sintesi tra sonorità Funk anni 70′ e rabbiosità di un linguaggio blues purissimo e potente. Egli stesso amava ripetere che la sua chitarra doveva essere graffiante come la voce di James Brown.
I suoi brani strumentali sono diventati con gli anni un banco di prova per tutti gli aspiranti chitarristi elettrici: Frosty, Snow Cone, Don’t loose your cool, Avalance, ecc..
La collaborazione con l’etichetta Alligator ha portato alla creazione di Album imprescindibili nella storia del modern blues come il celebre “Ice Pickin'”.

T Bone Walker

Aaron Thibeaux Walker, noto come T-Bone Walker o Oak Cliff T-Bone, (Linden, 28 maggio 1910 – Los Angeles, 16 marzo 1975).

Se non ci fosse stato T Bone Walker probabilmente non ci sarebbe stato nemmeno BB King, lo stile colto di T Bone non poteva passare inosservato, l’esuberanza delle performance live cin cui il chitarrista suonava la chitarra dietro la testa erano solo la punta dell’iceberg di uno di più raffinati performer del tempo. E’ probabile che come molti suoi contemporanei guardasse con ammirazione la geniale fluidità di Lonnie Johnson, ma l’adozione di sonorità “proto-R&B” e il continuo richiamo alle dinamiche swing ne hanno fatto un’interprete originalissimo. La sua capacità di scomporre il ritmo all’interno dei brani creando delle scansioni imprevedibili non ha tuttora eguali.

Robert Johnson

Robert Leroy Johnson (Hazlehurst, 8 maggio 1911 – Greenwood, 16 agosto 1938).

Probabilmente i bluesman più famoso a sua insaputa di tutti i tempi. Un musicista capace di fare la sintesi di tutto il blues del suo tempo in uno stile unico. Apparentemente campagnolo, era in realtà un musicista che guardava con ammirazione al professionale classic blues delle cantanti degli anni ’20, e fatto di non poco conto, conosceva autori lontani geograficamente da lui tramite i dischi, quando molti suoi contemporanei basavano la loro formazione su la trasmissione orale di stili tecniche e canzoni. La scrittura ispirata di Robert Johnson ha condizionato tantissimi bluesman in epoche successive e il suo stile chitarristico è stato ripreso da mille musicisti….poi cè quella storia dell’anima al diavolo..

Lonnie Johnson

Lonnie Johnson, vero nome Alonzo Johnson (New Orleans, 8 febbraio 1899 – Toronto, 16 giugno 1970).

Chitarrista capace di fondere in maniera fluida Jazz e blues con eleganza e creatività Lonnie Johnson ebbe un’influenza enorme sui principali chitarristi elettrici di blues. Non solo stilisticamente ma anche per la definizione di un professionismo colto che era precluso alla maggior parte degli afroamericani di quegli anni. Il talento di Johnson non poteva passare inosservato e questo fatto lo portò a collaborare con Eddie Lang, Louis Armstrong, Duke Ellington, Alger “Texas” Alexander e seguì Bessie Smith in tournée. Ancora adesso le registrazioni di L.J. sono fonte di studio per tantissimi chitarristi moderni.

Freddie King

Freddie King (Gilmer, 3 settembre 1934 – Dallas, 28 dicembre 1976).

The Texas Cannonball, probabilmente il più amato chitarrista blues dai rocker di tutti i tempi, per tante ragioni stilistiche, rappresenta il primo Guitar Hero del modern blues, i suoi strumentali divennero col tempo la sfida che ogni chitarrista doveva passare per puntare a una sorta di “maturità”. In realtà il corpulento chitarrista texano aveva fatto suo il linguaggio del più noto BB King aggiungendovi una dose massiccia di invenzioni e idee che ne definirono il tratto stilistico. Strumentali come Hide Away, The Stumble, San oh Zay, In the open..ecc sono divenuti patrimonio mondiale di generazioni di chitarristi. A completare il quadro c’era la sua incredibile voce.
Un suo disco da ascoltare è sicuramente “Freddy King Sings”.

Elmore James

Elmore James, pseudonimo di Elmore Brooks (Richland, 27 gennaio 1918 – Chicago, 24 maggio 1963).

Elmore James è la slide guitar! se amate il blues, se amate la chitarra, se amate la slide guitar, Elmore James deve essere nei vostri ascolti, punto! Difficile immaginare le sonorità tipiche del blues senza pensare a lui il geniale Elmore James, capace di unire l’irruente sound dei juke joint con le nascenti sonorità del Chicago blues, capace di una vocalità drammatica e irragiungibile. La sua versione di Dust my broom figura in migliaia di registrazioni, senza Elmore James, Jeremy Spencer dei fledwood Mac non sarebbe esistito, e anche Johnny Winter avrebbe fatto fatica…
fateci un pensiero.

Sam “Lightnin'” Hopkins

Sam “Lightnin'” Hopkins (Centerville, 15 marzo 1912 – Houston, 30 gennaio 1982).

Spesso si parla di “blues texano”, spesso si hanno idee confuse a tale riguardo. Sicuramente per colpa di un certo mainstream che ha appiccicato questa etichetta al famosissimo Stevie Ray Vaughan, ma se proprio di SRV ascoltiamo ad esempio il brano Rude Mood ci accorgiamo che in realtà non è altro che uno strumentale alla Lightng Hopkins molto pompato. Sam nel 1920 conobbe Blind Lemon Jefferson, chitarrista che ebbe un’enorme influenza sul giovane chitarrista, il quale ne diventò in seguito persino l’accompagnatore guida. Il suo stile però si distacca dalle sonorità anni 20′ di Jafferson per diventare qualcosa di molto diverso a tratti cupo e introspettivo, alcoolico, scanzonato ma sempre puntuale e descrittivo, emozionante e profondo.

Fenton Robinson

Fenton Lee Robinson (September 23, 1935 – November 25, 1997).

Forse non conosciuto quanto merita Fenton Robinson è stato un originalissimo chitarrista di Chicago, la cui cifra stilistica ha dato spunto a molti chitarristi contemporanei. Lo stile pulito e lirico non lo hanno certo aiutato a fare breccia nei cuori dei giovani appassionati più attenti alle sonorità dure dei chitarristi moderni, ma l’invidiabile inventiva compositiva gli hanno permesso di creare perle uniche come la famosissima “As the years go passing by”, poi resa celebre dal più famoso Albert king.
Nonostante questo riascoltare Fenton Robinson vuol dire anche e soprattutto riscoprire come si possa essere originali anche in un genere fortemente decodificato come il blues. Più Fenton per tutti!

Freddie Robinson

Abu Talib (born Fred Leroy Robinson; February 24, 1939 – October 8, 2009).

Freddie Robinson non è molto conosciuto, ma se chiedete a qualsiasi appassionato di blues quale è il miglior disco dell’inglese John Mayall, bene (escluso “Bluesbrakers” con Eric Clapton), questi risponderà probabilmente “Jazz Blues Fusion”. Il chitarrista di questo disco era appunto Freddie Robinson. Dallo stile pulito e jazzistico, che a tratti ricorda Grant Green, legò la sua carriera a nomi di altissimo livello come Little Walter, Howling Wolf, Sly Johnson dimostrandosi un professionista versatile e capace di muoversi in linguaggi diversi e articolati.
Cercate le sue registrazioni da solista…mi ringrazierete!

Johnny Winter

John Dawson Winter III detto Johnny (Beaumont, 23 febbraio 1944 – Zurigo, 16 luglio 2014).

I bianchi possono suonare il blues? Ma la domanda dovrebbe essere “Quanto dovrebbero essere bianchi per suonare il blues?”. Mooolto bianchi…albini direi! Forse il chitarrista blues bianco più colto e istintivo mai nato, difficile che le due cose possano vivere insieme. Eppure Winter riuscì proprio in questo. Uno stile unico e potente fatto di diabolici giri di chitarra che affondava le sue radici nel più profondo mississippi blues. Le collaborazioni e le produzioni con Muddy Waters, i brani in acustico dale sonorità ancestrali, i furibondi live degli anni ’70, tutto mescolato in un ruggente blues da roadhouse. Winter impressionò tutti i mostri sacri del blues da BB King a Muddy Waters mettendo in chiaro una cosa su tutte: il rispetto. Rispetto che aveva per i padri e rispetto che i padri del blues ebbero per lui.

Stevie Ray Vaughan

Stephen Ray Vaughan, detto Stevie (Dallas, 3 ottobre 1954 – East Troy, 27 agosto 1990).

Difficile immaginare un chitarrista più noto nel mondo del blues bianco. Fratello del chitarrista Jimmie Vaughan (Fabolus Tunderbird), Stevie si fece largo nella difficile e competitiva scena New Wave anni 80 grazie alla potenza del suo stile chitarristico, arrivando a conquistare il cuore di migliaia di fans. La sua musica era radicata nel linguaggio di Albert King e Jimi Hendrix filtrati da un prepotente virtuosismo che metteva tutti a tacere. SRV era uomo di spettacolo, i suoi video sulle Tv commerciali dichiaravano che il blues bianco poteva ancora avere un mercato e poteva abbracciare folle più grandi rispetto al suo circuito di appartenenza. L’influenza che ebbe sulle “giovani leve” di chitarristi fu enorme e a tratti eccessiva, creando veri e propri cloni mitomani che popolarono il sottobosco musicale per diversi decenni. Il suo suono di stratocaster ridefinì l’estetica chitarristica e sonora imponendo nuovi standard che ancora oggi incontriamo sui palchi di tutto il mondo.

Bukka White

Bukka White, pseudonimo di Booker T. Washington White (Aberdeen, 12 novembre 1906 – Memphis, 26 febbraio 1977).

“Non scorderò mai il momento in cui entrai a Parchman farm mi presero i miei abiti civili e li gettarono via….” Bukka cantava questo accompagnato dalla sua resofonica, suonata con uno stile ritmico potente e deciso allungando tutte le note cantate e sottolineando i passaggi drammatici con l’utilizzo della slide.
Stiamo parlando di uno dei più grandi bluesman di tutti i tempi, un poeta capace di immagini fortissime ed iconiche. Ancora adesso non credo esista nessuno capace di arrivare a questa espressività… eppure è più famoso Robert johnson, sarebbe interessante anche capire o interrogarsi sul perchè di questo.
Bukka finì in galera e li venne registrato da Lomax, poi riscoperto durante il revival, tutte cose note…il mistero è come facesse a suonare in quel modo! Prendete la vostra chitarra accordatela in D o D- o in G open e poi provate a creare quella pulsazione…quel groove…c’è un motivo se Bukka White è una leggenda!

Muddy Waters

Muddy Waters, pseudonimo di McKinley Morganfield (Rolling Fork, 4 aprile 1913 – Westmont, 30 aprile 1983).

Se …mio nonno avesse avuto le ruote sarebbe stato una carriola e se Alan Lomax non avesse registrato Muddy Waters la musica come la conosciamo oggi non sarebbe esistita! Chiaramente è difficile immaginare un musicista più influente e determinante di Muddy Waters, il suo apporto nel trasformare il blues rurale nel contemporaneo blues elettrico di Chicago è stato fondamentale.
Nessuno fino a quando Muddy scese dal treno alla stazione di Chicago aveva mai pensato che l’organico di una band potesse generare il muro di suono che potè sentire in seguito dalla band di Muddy.
Veri e propri fuoriclasse dello strumento erano i suoi comprimari, Little Walter, James Cotton, Otis Span, Buddy Guy, Willie Dixon, Carey Bell, Bob Margolin, Jimmy Rogers, tutti al servizio della musica del Boss di Chicago.
Lo stile slide di Muddy è tuttora materia di studio per migliaia di chitarristi..i Rolling Stones si chiamano così in onore di un brano di Muddy (e forse è la cosa più blues della band). Consigliare l’ascolto di Muddy Waters è inutile, lo faccio per completismo, come consigliare di andare a vedere la Gioconda al Louvre…si sa che ci dovete andare che ve lo dico a fare?

Gary Davis

Gary Davis noto come Reverendo Gary Davis o anche Blind Gary Davis (Carolina del Sud, 30 aprile 1896 – Hammonton, 5 maggio 1972).

Una delle grani lezioni che chitarristi afroamericani hanno dato al mondo è sicuramente quella di saper tradurre sulla 6 corde la polifonia raggiungibile con il pianoforte, in cui mentre una mano disegna intriganti linee di basso, l’altra sviluppa fraseggi melodici. E’ una lezione ampiamente sviluppata dalla chitarra classica e che ha trovato negli interpreti di Ragtime degli anni 20 altissimi esecutori e geniali arrangiatori. Questo stile così distante dallo strumming tipico dei chitarristi blues permetteva agli esecutori di trasformare la propria chitarra in una specie di orchestra. Uno dei più amati interpreti di questo stile fu Gary Davis, maestro di Blind Boy Fuller, ebbe un ruolo chiave nel definire la tecnica fingerpicking sullo strumento, influenzando generazioni di chitarristi.
Hesitation Blues, mai sentita? Jafferson Airplane, Jorma Kaukonen? Tutti nomi nuovi? Dietro questi brani c’è il geniale Gray Davis.
Negli anni trenta divenne pastore battista e il suo repertorio si orientò sui brani religiosi, affrontati sempre con piglio deciso e risoluto: “Say NO to the devil” sembra essere una dichiarazione anti Robert Johnson in effetti…

Jimmy Rogers

Jimmy Rogers (Ruleville, 3 giugno 1924 – Chicago, 19 dicembre 1997) .

“That’s All Right”, “Walking By Myself” sono alcune delle hit che hanno messo in luce il talento incredibile di Jimmy Rogers, membro storico della band di Muddy Waters, chitarrista capace di tessiture ed abbellimenti che hanno reso preziosi e unici i brani di quel periodo del Boss di Chicago.
Sicuramente la figura di Rogers non è una di quelle ascrivibili all’universo dei “Guitar Heros” ma nel il ruolo di “ricamatore” all’interno dei brani non fu secondo a nessuno.
Ascoltare le registrazioni insieme a Jimmy Reed o a Ronnie Earl per rendersi conto della grandezza di questo artista è sicuramente d’obbligo per ogni appassionato.

Luther Tucker

Luther Tucker (January 20, 1936 – June 18, 1993).

Amo molto Luther Tucker, il suo talento smisurato è stato al servizio dei più grandi artisti blues di tutti i tempi, contribuendo alla creazione di quel sound divenuto leggendario.
È considerato uno dei più importanti chitarristi ritmici del Chicago blues insieme a Eddie Taylor , Jody Williams e Freddie Robinson . Lavorò in vari modi con Little Walter , Otis Rush , Muddy Waters , John Lee Hooker , The James Cotton Blues Band ed Elvin Bishop . Eppure a questo talento non è conseguita la fama, una lezione preziosa per tutti coloro che vedono il successo come l’obbiettivo da raggiungere a tutti i costi.
Pochi dischi a suo nome entrambi postumi. Fraseggio unico e riconoscibile in ogni ambito.
Chitarrista da scoprire, da amare, da studiare, gigante senza tempo, mistero rivelato.

Pee Wee Crayton

Connie Curtis Crayton (December 18, 1914 – June 25, 1985).

Non sono mai impazzito per la scuola californiana ma la chitarra di Pee Wee Crayton non può essere dimenticata. Figlio di un blues minore che legava elegantemente swing, blues, boogie, questo raffinato chitarrista ha posto insieme ad altri le basi per quello che comunemente viene definito “Jump Blues”. Difficile trovare la rabbiosa inquietudine del Chicago blues nei suoi dischi ma forse proprio per questo la sua cifra stilistica appare subito evidente.
Ascoltate Texas Hop e capirete di cosa parlo.

Son House

Son House, vero nome Eddie James House , Jr. (Riverton, 21 marzo 1902 – Detroit, 19 ottobre 1988).

Quando penso a una figura chiave nella storia del blues penso a Son House. In lui la spiritualità e la carnalità sembrano incontrare uno stranissimo equilibrio, un equilibrio esplosivo. Son house riusciva e riesce a emozionare sia cantando antichi spiritual accompagnato con il battito delle mani, o terrosi blues di campagna che raccontano di drammatiche siccità. E’ lui che Robert Johnson andava a sentire nei Juke Joint, ed è sempre lui che indica ad Alan Lomax Muddy Waters come uno bravo da registrare. Basterebbero questi fatti per capire l’importanza di Son House nella storia di questa musica, ma la sua più grande eredità sono gli struggenti blues registrati a voce e chitarra. Son House lavorò nel mondo agricolo praticamente tutta la vita (a parte un certo periodo da Pastore battista e un altro certo periodo da detenuto), e nonostante questo è considerato un inarrivabile Maestro da generazioni di musicisti. Meditate gente.

John Lee Hooker

John Lee Hooker (Clarksdale, 22 agosto 1917 – Los Altos, 21 giugno 2001).

Hooker non è uno sconosciuto, per tantissime ragioni, dalle apparizioni cinematografiche (Blues Brothers), alle collaborazioni importanti (Canned Heat, Santana, Van Morrison, Doors…). Quello che è sicuro è che questo singolare personaggio del blues ha avuto un ruolo chiave per far conoscere ed apprezzare questa musica ad intere generazioni. Definendo uno stile il Boogie, che nulla aveva a che vedere con il woogie boogie di pianistica memoria.
L’adozione di tempi ipnotici monocordi ma soprattutto il sound di hooker sono diventati leggendari.
Le tematiche dei suoi blues, sempre “borderline”, nel 1927 assiste alla tracimazione del Mississippi e scrive Tupelo Blues, entrando nella tradizione lirica dei narratori di questo episodio con uno dei talking blues più famosi di tutti i tempi (altri bluesman che trattarono l’argomento furono ad esempio Cahrley Pstton, Bessie Smith, Blind Lemon Jefferson, Barbecue Bob e molti altri). Si trasferisce a Detroit e converte il suo blues rurale in una sorta di blues elettrico dal forte carattere campagnolo. Sarà ospite di quasi tutti i festival blues del mondo influenzando intere generazioni.
Che dire… come Muddy Waters..inutile suggerirne l’ascolto se state leggendo questo blog già lo conoscete…

R.L. Burnside

Robert Lee Burnside (Harmontown, 23 novembre 1926 – Memphis, 1º settembre 2005).

Se dovessi scrivere di R.L.Burnside, probabilmente non mi basterebbe tutto il mio blog. Più per questini affettive nei confronti della sua musica che per altro. Io ho scoperto il blues grazie a lui.
Stando al pratico stiamo parlando dei uno dei più grandi esponenti del cosidetto “hill Blues”. Se dovessimo definire questo sottogenere che annovera tra i suoi esponenti gente come Robert Belfour, Fred McDowell, Cecil Barfield, Othar Turner, Jessie Mae Hemphill, dovremmo concentrarci sull’aspetto ipnotico ed ossessivo dei brani proposti e riarrangiati.
Di fatto è proprio questo che rende l’hill blues così interessante.
R.L. Burnside ha vissuto un’epoca abbastanza felice nei ’90 dopo essere stato rifiutato dalla scena di Chicago che vide il suo stile troppo “campagnolo”. Passarono anni prima che il più grande esponente della musica da Juke Joint potesse mettere piede in Europa. Ma quando arrivò cambiò le regole del gioco.
Dopo l’ascolto della musica di Burnside tutto il resto del blues divenne una cosa prevedibile e scontata.
Ingiustamente inserito in un circuito Punk/sperimantale, ha continuato a dare il suo contributo rinfrescando le menti con i suoi groove mai uguali e la sua voce ispirata fino alla sua scomparsa nel 2005. In quell’anno gli dedicai il concerto di apertura ad Andy J Forest al Naima Club.

Hubert Sumlin

Hubert Sumlin (Greenwood, 16 novembre 1931 – Wayne, 4 dicembre 2011).

1955, l’anno in cui Sumlin prese il posto di chitarrista nella band di Howlin Wolf, sostituendo Jody Williams e definendone il sound in maniera determinante. In uno strano mix di sonorità Juke Joint e Chicago blues, perfetto per le evoluzioni del “Lupo di Chicago”. Da quell’anno la sua carriera si legò alla vita del Lupo fino alla sua scomparsa.
Sumlin è uno di quei chitarristi che fa il sound, come lo fu Jimmy Rogers per Muddy Waters, sicuramente un modello per intere generazioni.

Buddy Guy

Buddy Guy, vero nome George Guy (Lettsworth, 30 luglio 1936).

Uno degli ultimi grandi chitarristi viventi che ha fatto la storia di questo genere è Buddy Guy.
Appartiene alla seconda generazione (forse anche alla terza a ben vedere) dei chitarristi elettrici di Chicago, con il suo stile irruento e veloce ha assunto per molti anni il ruolo di guitar hero. La musica di Buddy Guy vive di uno strano dualismo, tra grande sensibilità ed urgenza espressiva e la voglia di rendere tutto spettacolare ed appariscente. Il tutto accompagnato da una tra le voci maschili più “sexy” mai sentite. C’è qualcosa di animalesco e sfuggevole che non rende Buddy Guy un soggetto da retrovia nonostante la lunga militanza come seconda chitarra nella band di Muddy Waters.
La collaborazione con Junior Wells definisce un nuovo fenomeno: la band con due frontman.
Buddy Guy per i motivi sopra elencati è molto divisivo, c’è chi lo ama e chi lo odia, certamente è ancora uno di quelli che quando vuole con due note ti apre in due. Perciò l’unica cosa che posso dire è: Lunga vita a Buddy Guy!

Mike Bloomfield

Mike Bloomfield, vero nome Michael Bernard Bloomfield (Chicago, 28 luglio 1943 – San Francisco, 15 febbraio 1981).

Mike Bloomfield è stato probabilmente uno dei chitarristi blues bianchi più rappresentativi a cavallo degli anni 60 e 70.
La Butterfield Blues Band ha rappresentato uno strano connubio interazziale, la band si pone come meltin pot di culture differenti nella scena black di Chicago e Bloomfield è l’esponente di quella ebraica.
Non si può e non si deve sottacere il fatto che il blues in quegli anni fosse patrimonio degli afroamericani e che la maggior parte dei club fosse bandita ai bianchi, con l’eccezione di Paul Butterfield e della sua band. Lo stesso Mike Bloomfield che ne faceva parte aveva in giovinezza frequentato artisti come Big Joe Williams per apprenderne stile e tecnica. La sua carriera lo portò a collaborare con Al Kooper e molti altri musicisti, anche italiani come Fabio Treves. Afflitto da grandi mal di testa, morì di overdose nel 1981.

Otis Rush

(Philadelphia, 29 aprile 1934 – Chicago, 29 settembre 2018) .

Inarrivabile chitarrista, stupendo cantante eccelso performer, grande interprete, tutte queste qualità vivevano in un solo uomo: Otis Rush. Nessuno come lui seppe arrivare al cuore della gente per la carica espressiva e drammatica dei suoi blues. Il suo fraseggio viene citato da Robert Cray ogni volta che esegue un vibrato, le sue note tirate fanno capolino nel linguaggio chitarristico di Clapton. I suoi brani sono classici senza tempo: Double Trouble, Right Place Wrong Time, It Take Time, I cant quit you baby (Dixon)… La sua scomparsa definì la fine di uno dei più grandi nomi del blues di Chicago.

Mississippi John Hurt

Mississippi John Hurt, nome d’arte di John Smith Hurt (Teoc, 3 luglio 1893 – Grenada, 2 novembre 1966).

Se non fosse stato per Tom Hoskins, Mississippi John Hurt sarebbe rimasto li, incagliato nei fruscii di qualche rovinatissimo vinile a destare la curiosità di ricercatori ed appassionati. Ma il suddetto Hoskins si mise caparbiamente alla ricerca del chitarrista di Avalon, e prima ancora del chitarrista della stessa Avalon, luogo non segnato nelle mappe.
Trovato Avalon, trovato Hurt il resto venne abbastanza facile, essendo in pieno boom il blues revival. Grazie a questa riscoperta abbiamo ancora oggi a disposizione le memorabili canzoni di uno dei più raffinati chitarristi folk/blues di tutti i tempi, maestro incontrastato della tecnica fingerpiking.

Robert Cray

Robert Cray (Columbus, 1º agosto 1953).

Figura imprescindibile di quel filone definito “soul blues” Cray è un raffinatissimo chitarrista cantante dalla genialità indiscussa. Questa genialità si esprime spesso nella creazioni di composizioni dalla grande inventiva, mai scontate e da un suono sempre riconoscibile. La sua chitarra disegna assoli sempre di grande effetto con chiari riferimenti ad Albert Collins, Magic Sam, Otis Rush, Little Milton. Midnight Stroll è un disco capolavoro, come anche Bad Influence…Tantissimi i chitarristi che si ispirano a lui o alle sue composizioni, faile imbattersi nella sua vasta produzione in dischi lontanissimi dal blues e vicinissimi al soul. Ma a questo punto credo che Mr. Cray può permettersi ogni libertà.

Magic Sam

Magic Sam, pseudonimo di Samuel Gene Maghett (Grenada, 14 febbraio 1937 – Chicago, 1º dicembre 1969).

Uno dei peccati per cui si finisce all’inferno è non citare in questa lista Magic Sam, un chitarrista che in pochissimi anni ha saputo portare una ventata di freschezza nel blues di Chicago gettando le basi a quello che oggi è chiamato Soul Blues. Il disco di riferimento è “West Side Soul” e contiene già tutti i tratti stilistici del chitarrista di Grenada. La breve esistenza stroncata da un attacco cardiaco non ha impedito a Sam di “lasciare il segno” nella storia del blues elettrico e tuttora miriadi di chitarristi gli rendono omaggio, come ad esempio il grandissimo Ronnie Earl.

Joe Louis Walker

Joe Louis Walker 25 dicembre 1949 (età 74 anni), San Francisco, California, Stati Uniti

Strano soggetto Joe Louis Walker inizia a fare breccia nel cuore degli amanti del blues elettrico negli anni ottanta con uno stile pulito ma dinamico e con composizioni di grande inventiva purtroppo non supportate da adeguate produzioni il che genera dischi interessanti ma incompleti, con il passare del tempo le produzioni arrivano ma diminuiscono le idee e Walker diventa sempre più tradizionale, e meno creativo. per assurdo il disco più ricordato è Blues of month club, e a parte la title track e il lento con la slide bluesfin non presenta spunti interessanti.
Poi la svolta acustica, le collaborazioni…ma col tempo ho smesso di seguirlo dopo averlo cercato ossessivamente in seguito alla sua apparizione a Pistoia Blues nel 1990. mi colpì la sua lontananza dagli stilemi texani in voga in quegli anni feci arrivare dagli USA cold Is the nights. tutt’ora quello che preferisco.

Kenny Neal

Kenny Neal (born October 14, 1957)

Parlare di modern blues è pericoloso, perché spesso se è modern non è blues. non è una regola ma capita spesso. A questo termine così antipatico si ascrivono parecchio chitarristi a volte rock a volte fusion a volte jazz, perché pare che per essere moderni bisogna per forza essere fuori contesto. in realtà ad esempio Magic Sam era molto moderno rispetto ai suoi contemporanei. Uno dei chitarristi moderni per eccellenza e per dati anagrafici è Kenny Neal.
Stiamo partendo di Louisiana e di Baton rouge quindi non siamo nella prospettiva del blues di Chicago. Kenny è figlio d’arte suo padre Rufus è stato armonicista di valore, suo fratello è un bassista pazzesco, e lui è un abile polistrumentista.
Il suono pulito della sua Telecaster è ancora fresco e di grande effetto. 
La voce calda e roca e la ciliegina sulla torta di una miscela di funk blues di grande impatto. Il primo disco di Kanny Neal ha tutta la freschezza delle produzioni indipendenti i dischi successivi risentono dell’impronta Alligator. Sanno un po’ di “già sentito” ma alla fine rimangono piacevoli.

Lurrie Bell

Lurrie Bell 13 dicembre 1958 (età 65 anni), Chicago, Illinois

Gran bella famiglia i Bell, Carey Bell Steve Bell, Lurrie Bell… proprio di Lurrie vorrei parlare.
Chitarrista di enorme talento e feeling, saldamente ancorato al Chicago Blues, ma capace di grande creatività è al momento uno dei più grandi chitarristi di Chicago.
Il padre Carey Bell è stato armonicista nella band di Muddy Waters e queso ha permesso a Lurrie di conoscere tutto il giro buono del blues di Chicago.
la tecnica di Bell si amplifica con una grande visceralità che rende le sue performance memorabili, sembra che il chitarrista si strappi le note dal corpo accompagnandole in punta di piedi.
Purtroppo l’abuso in giovinezza di sostanze varie lo ha spesso portato a essere più ricordato per questo che non per il suo smisurato talento. Ma in questi anni superati questi eccessi si è riconfermato autentico fuoriclasse.

Robert Pete Williams

Robert Pete Williams (Zachary, 14 marzo 1914 – Rosedale, 31 dicembre 1980).

Quando parliamo di Robert Pete Wiliiams dobbiamo ricordarci che stiamo parlando di un personaggio “irregolare”, scoperto da Harry Oster nel carcere di angola, un chitarrista dallo stile asimmetrico, lontanissimo da ogni forma decodificata di blues. Un personaggio totalmente fuori da ogni contesto commerciale, lontano da ogni velleità estetizzante..eppure.. Eppure in lui il blues è una materia viva fatta di note sorde, di groove africani, di passaggi ipnotici ripetuti all’infinito e soprattutto di silenzi, silenzi che lasciano spazio a paesaggi sonori, paesaggi afosi, cigolare di porte, cani che abbaiano, ronzii di zanzare, schiamazzi di gente sotto un portico.
Apprezzare Robert Pete Williams è difficile, ma quando si riesce a superare l’iniziale difficoltà si entra davvero in contatto con il più puro downhome blues.
Ascoltate Free Again oppure Sugar Farm…non troverete nulla di più blues.

Blind Willie Johnson

“Blind” Willie Johnson (Brenham, 22 gennaio 1897 – Beaumont, 18 settembre 1945).

La spiritualità e la religione sono due cose diverse, la spiritualità c’entra con la musica, che ne è emanazione, la religione c’entra con le regole che l’uomo si dà (o che Dio da all’uomo) per rigare dritto e assicurarsi un posticino nell’eternità.
Fatto sta che mentre la musica non ha mai fatto male a nessuno, le religioni hanno fatto disastri. Spesso sono state usate per sottomettere popoli, come quello afroamericano a cui gli schiavisti raccontavano che la loro condizione era scritta nella Bibbia. Credo che questi signori stiano ancora bruciando nel fuoco della geena.
Chi invece colse l’aspetto spirituale della religione fu il chitarrista cieco Blind Willie Johnson e lo fece registrando negli anni venti moltissimi spiritual e gospel, lo fece accompagnandosi con una tecnica slide che tutt’ora non ha eguali per intensità e liricità. La sua Dark Was the night è stata inserita in un disco d’oro all’interno della sonda spaziale Voyager a testimonianza della grandezza dell’animo umano, la sua Soul of a man è stata il titolo e la colonna sonora di un film a lui dedicato dal regista Wim Wenders. Come si fa a non capire che la religione deve coltivare la spiritualità e non il potere quando un uomo nero degli anni venti, in piena segregazione razziale, è riuscito a toccare con la sua voce e la sua chitarra vette così alte da meritare di diventare un esempio per l’umanità?

Carl Weathersby

Carlton Weathersby (February 24, 1953 – August 9, 2024).

Moderno o contemporaneo? nelle arti visive la distinzione è chiara. Moderno sono le avanguardie che so futurismo, astrattismo cubismo ecc, contemporaneo è l’arte che oggi si può vedere alla biennale. Nella musica e nel blues in particolare queste due categorie sono confuse e spesso contraddittorie. Questo perché il contemporaneo racchiude in se molti revivalismi che parlano una lingua distante nel tempo e anche perché la modernità in una musica fortemente tradizionale sembra essere più una forzatura commerciale che non un’esigenza dello spirito. Fatto sta che un chitarrista contemporaneo come Carl Weathersby non poteva che essere considerato in moderno visto lo stile e la direzione della sua musica e al tempo stesso un contemporaneo per il fatto di muoversi in un contesto tradizionale in modo consapevole e intelligente.
Chitarrista dallo stile duro, a fianco di Billy Branch, nei Son of Blues, poi sostituito da Carlos Johnson, fa brillare la sua stella nella scena blues di Chicago al punto tale da essere segnalato dal grande Buddy Guy come una delle personalità di spicco della città ventosa. Le sue qualità emergono nella carriera solista, Reastless Feeling è un disco che racconta questa visione pescando da Albert King e Johnny Guitar Watson ma con l’occhio attento a Lonnie Brooks e a Lurrie Bell. Carl se ne è andato in questo maledetto 2024 ma quando suonò al Naima di Forlì fece venire giù il tetto del locale. Io lo voglio ricordare così.

Bryan Lee

Bryan Lee (March 16, 1943 – August 21, 2020).

Bryan Lee, me lo fece conoscere il cuoco di un locale dove suonavo quando ero ragazzo, non so quanti di voi lo conoscono (Bryan Lee no il cuoco). Era un chitarrista divenuto cieco a 8 anni che si era poi traferito a New Orleans diventando il principale nome del
Old Absinthe House, per 14 anni, Lee e i suoi Jump Street Five suonarono cinque sere a settimana in quel famoso bar. Il feroce stile chitarristico con la sua telecaster danno origine a live intensi ed appassionati. Il suo cantato è fortemente espressivo e fatto di urlati acuti che danno drammaticità. Collaborerà con l’italiano Henry Carpaneto anche in alcuni suoi dischi.
Se volete conoscere questo chitarrista cercate i due live “Old Absinthe House”.

Fred McDowell

Fred McDowell, soprannominato Mississippi (Rossville, 12 gennaio 1904 – Los Angeles, 3 luglio 1972).

Mi dicono che dovrei scrivere di Duane Allman, probabilmente perché era un eccelso chitarrista slide, che in più di un’occasione suonò degli eccezionali blues e lo fece perché conosceva bene i bluesmaster, in più aveva una musicalità superiore, quindi massima stima..ma non lo farò, come non inserirò Ry Cooder, perché non si sta parlando di bravi chitarristi e basta ma di chitarristi blues, cioè gente che è nata cresciuta e morta in quel particolare contesto.
Però possiamo parlare di chi accomuna sia Allman che Cooder Mississippi Fred McDowell.
Quando parlai del blues delle hill, accennai a Fred McDowell (anch’egli scoperto da Alan Lomax, santo subito!), lo stile ipnotico, la scansione ritmica dei suoi bassi alternati la lacinante slide in D open sono tutti tratti distintivi di un chitarrista che si destreggiava sia in blues tradizionali che in tematiche religiose, a volte accompagnato dalla moglie, a volte da basso e batteria, ma sempre con risultati strabilianti.
Quindi se amiamo ‘Jesus on mainline’ di Cooder non possiamo non andare ad ascoltare la versione di Fred.
Per fare un esempio la tecnica slide di Bonnie Raitt deriva proprio dalla sua.

Skip James

Skip James, vero nome Nehemiah Curtis James (Bentonia, 21 giugno 1902 – Filadelfia, 3 ottobre 1969).

Quando si parla di “scuola di Bentonia”, in realtà si utilizza una terminologia derivata dallo studio dell’arte visiva (scuola del Perugino o di Giotto), applicata a una città del Mississippi che ha dato i natali al grandissimo Skip James, ma per dire che esistesse effettivamente una scuola bisogna aggiungere anche il timido e riservatissimo Jack Owens.
Si parla di “scuola” più che altro per il suono tipico di questi autori, che vivono in un’universo minore in cui la spazialità rurale incontra umori africani apparentemente riconducibili ad una tradizione orale indipendente rispetto al downhome blues tradizionale, che in qualche modo aveva degli stilemi codificati.
Skip James aveva un suo stile autarchicamente indipendente fatto di accordature minori dal suono inaspettato.
Era un personaggio schivo, non amava parlare di se, per tante ragioni, per esempio negli anni 20 si dedicò alla produzione di Whiskey di contrabbando…
Riscoperto durante il blues revival degli anni 60, le sue registrazioni iniziarono a fare il giro del mondo influenzando miriadi di musicisti tra cui i Cream (con la cover di I’m so Glad James ricevette 10.000 $ di royalties). James si destreggiava sia in blues che brani religiosi, nello stesso repertorio potevi trovare sia I’m so glad che Devil got my woman, decisamente una scelta insolita.
Che altro dire? accordate la vostra chitarra in D- ed esplorate la musica di Skip James.

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