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Spaghetti, Pizza e Blues

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E’ un po che non scrivo nulla nel mio seguitissimo blog e ho pensato a lungo come interrompere questo periodo di silenzio. Non mi veniva in mente niente, un po perché ho passato un anno difficile emotivamente in cui mi sono chiesto davvero se valesse la pena alla soglia dei 50 anni di continuare tormentare la gente con la mia proposta artistica, incassando pesci in faccia dai più disparati direttori artistici, somatizzando tutte le promesse non mantenute, vedendo affisse programmazioni senza il minimo criterio o il minimo amore per ciò che si fa, a tratti offensive nei confronti di artisti che hanno mangiato la polvere per cercare in un qualche modo di trovare una propria voce e tracciare un proprio percorso all’interno della black music a un qualsiasi livello.

Insomma un quadro desolante in cui l’idea stessa di rimanere sul campo nonostante tutto sembrava una scommessa senza vincitori.
Tuttora la labile prospettiva di un mantenimento degli asset (band acustica, elettrica, duo e collaborazioni varie) sembra scontrarsi con l’evidente incapacità di molti gestori di comprendere facili dinamiche organizzative. Sono nato in un mondo analogico in cui entravi in un locale guardavi in 5 minuti il calendario, segnavi la data e uscivi. I grandi protagonisti di questa rivoluzione erano un planning e un pennarello.

Nonostante questo mi sono detto “voglio parlare del blues italiano”, ma non per polemizzare, ci sarebbe molto da dire sui “finti eroi” che popolano il sottobosco pompati come se si trattasse di BB King, non mi interessa questo aspetto perché “ognuno fa quello che può”, in una realtà come quella italiana dove le prospettive di fare un disco e vederlo in un negozio nel reparto blues a fianco a un autore Alligator stanno a 0.
Sembra poco ma cambia tutto. Non conosceremmo, ne apprezzeremmo un Kenny Neal se non fossero arrivati i suoi dischi negli anni 80 da noi. E questo vale anche per i nostri artisti.
Il problema della distribuzione, anche in epoca digitale è un problema ENORME. Perché se il webmarketing e il marketing in generale non sono a supporto dell’artista nessuno digiterà il suo nome sul motore di ricerca di google e la sua opera rimarrà sconosciuta.

C’è però anche un problema di “qualità artistica”. Mi spiego meglio, il blues nel 2024 non è, nemmeno livello internazionale, rappresentato da artisti (con l’eccezione di Buddy Guy) che siano legati in modo diretto alle esperienze che hanno portato questa musica a venire fuori dai campi di cotone. Quindi gli artisti che propongono blues in America oggi si sono formati sui dischi esattamente come gli artisti italiani o spagnoli, a tal proposito esistono diversi artisti argentini che propongono blues nella loro lingua.

Il blues è una musica internazionale o è una musica Americana? Questa domanda ha senso. Perché la cultura come fenomeno diffuso ha rotto i confini delle aree culturali di genere creando un linguaggio unico e condiviso in cui convergono mille personalità e stili. Potremmo parlare di postmodernismo.

Gli artisti di worldmusic non si pongono nemmeno il problema, gli artisti di blues si, perché sentono questa questione come un’universo che in fin dei conti non gli appartiene, perché fa parte di una dolorosissima storia di cui loro sono solo istruiti lettori, ma che in fin dei conti non li ha toccati direttamente.

Quindi quando parliamo di blues italiano dobbiamo partire da questi presupposti. La comprensione di come artisti di genere vivano un dualismo conflittuale tra ciò che è il loro immaginario creativo e ciò che è la realtà. Perché anche se è vero che un artista blues italiano oggi si forma ascoltando i dischi esattamente come un artista blues americano, il pubblico che lo ascolterà e in generale la sua comunità non avranno fatto lo stesso per evidenti ragioni di diffusione e di linguaggio.

Quindi qui nasce il primo ostacolo.
C’è poi un problema di cultura, nel senso che recentemente, in nome di un presunto blues tricolore sono stati ripescati personaggi di ambito pop che nella loro esistenza hanno per un breve periodo frequentato le 12 battute, per poi ripiegare verso lidi più remunerativi. Alcuni hanno fatto lo sforzo di tornare in sala prove con la loro band di prezzolati professionisti e ammucchiare qualche standard, che nemmeno delle garage band avrebbero l’ardire di portare su un palco importante, altri semplicemente non hanno fatto nemmeno questo sforzo riproponendo esattamente i propri successi Pop. In alcuni casi imbarazzanti si è scelto di ospitare personaggi famosi, per il solo fatto che erano famosi in TV senza nemmeno porsi il problema se ciò che proponevano fosse attinente o di qualità.
Ovviamente si è trattato di grandi successi. Anche perché il pubblico non era quello del blues (ormai esiguo) ma quello del pop o dei Reality.

Purtroppo questo è un bruttissimo segnale. Nel senso che invece di fare scouting tra artisti che davvero si impegnano a fare il loro percorso nella black music, magari in italiano, per ragioni di cassetta si premiano artisti che non c’entrano nulla con questa musica.
Dietro a questi avvenimenti c’è un mondo che non riesce a dialogare con la sua base, arroccato in nomi da pensione per raggiunti limiti di età.
Ma il blues ha ancora senso e può essere ancora oggi uno strumento efficace e minimale per raccontare storie, storie semplici, storie che parlano al cuore della gente. Però bisogna accettarne le su caratteristiche, senza pretendere che sia più pop perché così funziona meglio.

Bisogna averne rispetto perché porta in se una storia difficile. E come non si scherza con l’olocausto, non bisognerebbe farlo nemmeno con il blues. Non basta imparare la scaletta di Robert Johnson per essere bluesman.

Forse basterebbe tornare a raccontare le proprie storie, in modo sincero, nella propria fottutissima lingua, come avrebbe fatto Skip James. Forse basterebbe scendere dal piedistallo e tornare a raccontare qualcosa.

La giusta devozione per i maestri non deve impedire di crescere come artisti, il manierismo a tutti i costi, il vintage, l’esaltazione di modelli passati, la cristallizzazione del pensiero e della creatività, l’omologazione del gusto alla McDonalds sono tutte cose che devono essere rifiutate, non per futurismo ma per amor proprio.

Il blues italiano sarà davvero accettato quando un americano o un francese pagheranno un biglietto per assistere ad un concerto in italiano di blues come già fanno per artisti come Paolo Conte. Bisogna però essere artisti. 

 

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